11 Gennaio 2017

PERCHE' ADIDAS HA RIFIUTATO LO SPOT

Se avete aperto almeno una volta Facebook nelle ultime settimane, vi è capitato sicuramente di imbattervi nei titoloni da clickbaiting dei vari Huffington/Vanity/ViralVideo che vi raccontano come, scandalosamente, Adidas abbia rifiutato lo spot girato da un promettente studente moldavo di regia pubblicitaria alla Filmakademie Baden Wurttemberg, tale Eugen Merher.

Il video strappalacrime (che potete guardare qui sotto e cha superato 10 milioni di visualizzazioni) ha come protagonista un anziano in casa di cura che ritrova la libertà grazie a un paio di scarpe da corsa (la scelta della marca Adidas era cronologicamente obbligatoria considerando che all’epoca in cui l’anziano era ancora giovane le scarpe sportive più utilizzate erano le tedesche Adidas e Puma, Nike ad esempio nascerà solo negli anni '70).

Tra le curiosità da segnalare che Adidas nasce in pratica nel 1920 dall'iniziativa di un reduce tedesco Adolf Dassler detto "Adi", che coinvolse subito suo fratello Rudolf. Le loro strade con la seconda guerra mondiale si separarono e il loro legame si ruppe tanto che Rudolf, il fratello minore, fondò un'altra azienda di abbigliamento sportivo, la Puma. Per chiudere il discorso nel 1973, Horst, figlio di Adolf Dassler fondò Arena, brand specializzato in abbigliamento per il nuoto.


Lo spot, emozionalissimo, è un piccolo capolavoro e diventa davvero impossibile non chiedersi per quale motivo al mondo non debba essere apprezzato da una qualsivoglia azienda. Quindi cerchiamo di capire perché sia capitato ciò.

Eugen Merher di recente ha rilasciato un’intervista alla testata online AdWeeks, nella quale spiega qual è stata la risposta ricevuta da Adidas:

i>“Ho mandato una mail sia prima di girare che a montaggio terminato, mi hanno risposto dicendomi che ricevono molte richieste simili e che si avvalgono già le loro agenzie, quindi non hanno necessità di altri spot pubblicitari”.

A fronte di questo rifiuto da parte dell’Adidas, nel web si è levato il tumulto: com’è possibile che un video così emozionante venga rifiutato da un’azienda? La maggior parte degli utenti è dell’idea che Adidas in futuro si troverà a rimpiangere la scelta di non aver accettato lo spot girato dal capace Merher, ma forse Adidas ha le sue ragioni per prediligere altre tipologie di comunicazione.

Ci sono moltissimi motivi per cui si discosta dal video di Merher al punto di rifiutarlo.

Una cosa è certa: gli utenti che insorgono non sono proprio aggiornatissimi sulla campagna 2016/2017 di Adidas.
Lo slogan che fa da filo conduttore a tutti i video dell’Adidas è “I’m here to create”, molto lontano dal concetto di libertà espresso dal video di Mehrer (che tra l’altro ricorda le vecchie pubblicità della Nike), inoltre il payoff di volta in volta si trasforma in “Creating Chaos”, oppure “Creating New Speed” e il ritmo delle commercial è estremamente elevato.

I protagonisti di Adidas sono un’acclamazione alla diversità etnica e metropolitana, ragazze e ragazzi di ogni etnia che corrono o giocano per strada e nei campi, catapultati in ambientazioni che vanno dall’America all’Africa, ma non mettono piede in Europa nemmeno per sbaglio.
E quella casa di cura, dal retrogusto così tedesco, fa pensare più ai tempi in cui la fabbrica dell'Adidas venne riconvertita per la produzione di guerra per l’esercito tedesco. Capite bene che non è una grande pubblicità.

Lo spot di Mehrer non solo si apre su un contesto da cui il mondo della pubblicità vuole sentirsi estraneo, l’anzianità e il declino, ma a una seconda occhiata (proprio dopo il momento della commozione), si valutano quelli che sono i significati più nascosti: la chiusura delle porte della casa di cura non è altro che una spia di una inabilità mentale che rende necessario il confino all’interno della casa.

Insomma, quale azienda che basa la sua comunicazione su creatività, giovinezza e celerità vorrebbe uno spot che richiama il, seppur meraviglioso, canto del cigno - trasportato per altro da un paio di scarpe logore?

Questa vicenda è l’esempio più calzante per comprendere come la raffinatezza artistica debba sempre essere necessariamente associata alla conoscenza del brand.

Infine ricordiamo che il video, come il sito web, come la pagina Facebook, Instagram e Linkedin sono strumenti che operano in funzione del piano strategico di web marketing dell’azienda.

D’altro canto siamo sicuri che il futuro di Merher sarà roseo, forte anche degli oltre 10milioni di visualizzazioni sul suo video rifiutato, “Break Free”. E a confermarlo c’è anche questa finta commercial di Nivea. Forse per lui c’è un posto nel team creativo di John Lewis.

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